La famiglia della giornalista palestinese-americana Shirin abu Akle, morta a maggio dopo essere stata colpita durante un’operazione delle forze israeliane nella città cisgiordana di Jenin, ha accolto con favore la decisione degli Stati Uniti di indagare sull’incidente.
«È un passo importante verso la responsabilità che avvicina la famiglia al raggiungimento della giustizia per Shirin», ha dichiarato la famiglia nella sua dichiarazione, pubblicata da Lina abu Akle, nipote della giornalista, sul suo account Twitter.
La famiglia del giornalista si è detta «fiduciosa» per l’apertura dell’inchiesta e ha ricordato di aver chiesto a Washington questo passo «fin dall’inizio». «È quello che gli Stati Uniti dovrebbero fare quando un cittadino americano muore all’estero, soprattutto quando muore per mano di un esercito straniero, come nel caso di Shirin», ha detto.
La famiglia della giornalista ha espresso la speranza che gli Stati Uniti «utilizzino tutti gli strumenti investigativi a loro disposizione per ottenere risposte sulla morte di Shirin e ritenere i responsabili di questa atrocità responsabili».
«Chiediamo a tutte le parti di avere le prove per rispondere alle richieste di indagine del Dipartimento di Stato americano e di non ostacolare la giustizia», ha detto, prima di esprimere la volontà della famiglia di Abu Akle di «sostenere le indagini».
«Speriamo che l’indagine degli Stati Uniti sia veramente indipendente, credibile e approfondita, e che segua le prove lungo tutta la catena di comando», ha dichiarato.
La lettera è stata pubblicata poche ore dopo che il ministro degli Esteri israeliano Benjamin Gantz ha rivelato che l’indagine è un «errore» e ha sottolineato che le autorità israeliane si rifiutano di collaborare con l’inchiesta.
Gantz ha sottolineato che l’esercito israeliano ha già condotto una «indagine professionale indipendente» che ha portato il governo israeliano ad ammettere che è possibile che Abu Akle sia stato ucciso da un colpo sparato da un soldato israeliano.
Il giornalista è stato ucciso l’11 maggio durante un’operazione militare israeliana nella Cisgiordania occupata mentre lavorava per l’emittente televisiva qatariota Al-Jazeera. Indossava un casco e un gilet che la identificavano come giornalista.
Nel frattempo, i risultati dell’indagine indipendente dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani sulla morte della giornalista sono in linea con la valutazione delle autorità palestinesi secondo cui le forze israeliane sono responsabili della sua morte.
I risultati dell’indagine condotta dall’organismo internazionale smontano anche la tesi secondo cui ci sarebbe stata un’attività armata palestinese nelle vicinanze della posizione in cui si trovavano i reporter, come sostenuto da Israele all’epoca.