
Il Presidente russo Vladimir Putin ha invitato i leader di Armenia e Azerbaigian a porre fine alle ostilità nella regione del Nagorno-Karabakh, una situazione di stallo che si trascina da «decenni» e che, a suo dire, tutti concordano sul fatto che debba finire.
Il leader russo ha avuto un incontro di due ore lunedì con il primo ministro armeno, Nikol Pashinian, in cui ha espresso questa necessità, a cui il leader armeno ha sottolineato l’importanza del ritiro delle truppe azere dall’area di tensione.
Pashinian ha riconosciuto a Putin che questo sarebbe un passo importante per Yerevan e che spera che Mosca abbia una posizione chiara sulla questione. Ha inoltre assicurato che l’Armenia è pronta a ristabilire il dialogo con l’Azerbaigian in qualsiasi momento, secondo l’agenzia di stampa russa TASS.
Dopo il faccia a faccia tra Putin e Pashinjan, il leader russo si prepara a incontrare il presidente azero Ilham Aliyev. Successivamente, i tre leader terranno un incontro a tre in cui l’argomento principale di discussione sarà il modo per attenuare le tensioni nel Nagorno-Karabakh.
«So che hanno la volontà politica di farlo e noi lo sosteniamo in ogni modo possibile. Dovremmo lavorare con loro ora e poi in un formato trilaterale per trovare i punti chiave che ci permetteranno di andare avanti», ha dichiarato il Presidente Putin.
A metà settembre, i governi armeno e azero hanno concordato un cessate il fuoco dopo gli ultimi scontri al confine, che hanno causato la morte di oltre 200 soldati tra le due parti.
L’Armenia e l’Azerbaigian si sono scontrati nel 2020 per il controllo del Nagorno-Karabakh, un territorio a maggioranza armena che è stato al centro di un conflitto da quando, nel 1988, ha deciso di separarsi dalla regione sovietica dell’Azerbaigian.
Le ostilità tra le due nazioni sono durate sei settimane e hanno causato migliaia di morti. Le crisi sono cessate quando i due Paesi hanno raggiunto un accordo di cessate il fuoco con l’intermediazione della Russia, che ha permesso alle forze di pace russe di insediarsi nel Nagorno-Karabakh per un periodo di cinque anni.