
Amnesty International ha condannato la nuova condanna a sette anni di carcere inflitta venerdì all’attivista Aung San Suu Kyi dalle autorità militari birmane, portando a 33 il numero di anni che il premio Nobel per la pace ed ex leader de facto del Paese dovrà scontare in carcere a causa delle precedenti sentenze emesse dai militari dopo la rivolta del febbraio 2021.
Suu Kyi e l’ex presidente birmano Win Myint sono stati condannati in un caso che riguarda il noleggio e l’acquisto di elicotteri da utilizzare per la gestione dei disastri, anche se le accuse non sono chiare perché agli avvocati è vietato discutere il procedimento.
Secondo Meg de Ronde, direttrice di Amnesty per l’Asia, tutte queste condanne sono «processi truccati», «politicamente motivati», «ingiusti e privi del minimo accenno di trasparenza», una critica che estende alle accuse mosse dai militari contro «le migliaia di altre persone che languono dietro le sbarre nelle famigerate prigioni e nei centri di interrogatorio del Paese».
«Le forze armate birmane hanno trasformato il sistema giudiziario e carcerario in un inferno dei diritti umani in cui giornalisti, attivisti, politici, medici, manifestanti e molti altri sono imprigionati solo per aver espresso pacificamente il proprio dissenso».
«Il fatto che questo verdetto sia arrivato a meno di 10 giorni da una rara ammonizione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva la fine delle violenze e il rilascio dei prigionieri detenuti arbitrariamente, dimostra che è necessario esercitare con urgenza una pressione ancora maggiore sull’esercito birmano», ha dichiarato l’ONG.
Per questo «il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite deve imporre un embargo completo sulle armi, anche sul carburante per l’aviazione, e sanzioni mirate sulla leadership militare», aggiunge.
Il colpo di Stato è stato perpetrato dai militari per ribaltare i risultati delle elezioni generali del novembre 2020, in cui la Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) di Aung San Suu Kyi ha ottenuto la maggioranza parlamentare, sostenendo che si tratta di brogli, tesi contestata dagli osservatori internazionali.
La rivolta è stata seguita da una dura repressione di oppositori, attivisti e manifestanti che finora ha provocato quasi 2.700 morti e più di 16.600 detenuti – di cui oltre 13.100 ancora in carcere – secondo i dati pubblicati dall’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici (AAPP) attraverso il suo account Twitter.
Fonte: (EUROPA PRESS)






