Il presidente del Nicaragua Daniel Ortega ha assicurato che la deportazione dei 222 prigionieri negli Stati Uniti, avvenuta giovedì, non è stata il risultato di una «negoziazione o di un accordo» con Washington, ma è dovuta a una questione di principio.
La decisione fa parte di uno sforzo per garantire la pace nel Paese, secondo Ortega, che ha sostenuto che in cambio della deportazione delle oltre 200 persone imprigionate non ha chiesto la revoca delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti, secondo un discorso riportato da Telesur.
«Cosa pensavano di chiederci? No, non chiediamo la revoca delle sanzioni. Non chiediamo nulla in cambio. È una questione di onore, di dignità, di patriottismo e che portino via i loro mercenari», ha ribadito il presidente nicaraguense.
In precedenti occasioni Ortega aveva sollevato la possibilità che i prigionieri fossero portati in un altro Paese, sostenendo che fossero «agenti di potenze straniere».
«Dovete ricordare che in diverse occasioni (…) ho suggerito che tutte queste persone che erano in prigione, che erano detenute per aver attentato alla sovranità, contro la pace, contro il popolo nicaraguense, erano agenti di potenze straniere», ha detto Ortega nel suo discorso.
Il governo nicaraguense ha autorizzato giovedì la liberazione di oltre 220 prigionieri politici, tutti considerati «traditori della patria» dal regime di Daniel Ortega, e la loro immediata partenza in prima mattinata con un aereo per gli Stati Uniti, in una misura senza precedenti che significa lasciare tutte queste persone senza nazionalità nicaraguense.
Sono accusati di aver commesso atti contro l’indipendenza e la sovranità del Nicaragua, di aver «incitato» alla violenza e al terrorismo, di aver perpetrato atti di «destabilizzazione economica» o di aver danneggiato «gli interessi supremi della nazione», ha spiegato il giudice Octavio Rothschuh della Corte d’appello di Managua in una breve apparizione trasmessa dalla televisione ufficiale.
La situazione dei prigionieri è stata una fonte ricorrente di lamentele da parte della comunità internazionale e di organismi come le Nazioni Unite. Il Meccanismo per il riconoscimento dei prigionieri politici (Mecanismo para el Reconocimiento de Personas Presas Políticas) ha stimato che il numero di prigionieri a gennaio era di almeno 245, tra cui dieci imprigionati prima delle proteste del 2018, considerate un punto di svolta.
Anche l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Volker Turk, ha chiesto a dicembre il rilascio «immediato» di 225 persone ancora detenute «arbitrariamente» per il loro dissenso contro il governo di Daniel Ortega. Nel suo regolare rapporto sulla situazione, ha denunciato le «precarie» condizioni di detenzione di questi prigionieri e il trattamento «umiliante e degradante» riservato alle loro famiglie.
Fonte: (EUROPA PRESS)